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Bastò un tè, e cambiò
tutto.
Gli altri lo
consideravano un tipo abitudinario. Lui si definiva più un amante
dell'equilibrio. Aveva una spiccata passione per la comprensione del proprio
corpo e dei suoi meccanismi. Attento ad ogni minimo dettaglio per capire l'insorgere
di qualche malattia; meticoloso nel programmare la giornata per avere un giusto
equilibrio tra stress e riposo, tra sentimenti e astenia, tra sport e attività
sedentarie. Certo questo portava ad una abitudinarietà di notevole rilievo: corsa
tre volte a settimana per combattere lo stress, caffè solo la mattina e dopo
pranzo, mai più tardi per evitare l'insonnia, e così via; ma se qualcuno gli
avesse chiesto se si fosse definito un tipo abitudinario, lui avrebbe risposto
che in realtà amava l'avventura, i viaggi e anche divertirsi; semplicemente
nella sua vita ordinaria cercava un equilibrio che gli consentisse di sfruttare
al meglio le sue potenzialità, di vivere serenamente ogni situazione. Ecco
appunto, cercava. Una volta un amico gli aveva detto che forse stava esagerando
e che a spassarsela un po’ avrebbe notato come la vita potesse essere molto più
divertente. Lui non gli credeva. Pensava di essere felice così, di vivere al
massimo.
Quella sera però gli
successe di bere un tè. Ecco ovviamente non che l'avesse fatto apposta.
Semplicemente, nel buio della cucina, non si accorse che nella scatola della
camomilla vi era finita per sbaglio una bustina di tè al mirtillo.
Andò a letto
come ogni notte alle una,dopo aver letto 15 pagine di un libro. Erano le 3
quando si alzò barcollando. Andò davanti allo specchio del bagno e cercò di
capire quale fosse la ragione per cui non riusciva a prendere sonno. Esaminò
ogni malattia possibile di quelle che conosceva, si aiutò con internet come
faceva spesso ma niente, il mistero di quel momento di insonnia non sembrò
avere soluzione. Arreso e stanco di quei pensieri, pensò a cosa fare. Ci voleva
un'altra camomilla forse. Preparò la tazza e scartò il filtro. Quando poi aprì
il secchio per gettare la carta, gli si presentò davanti la soluzione del
mistero; una bustina rossa emergeva dal fondo del cestino, non gialla come
quelle solite della camomilla, la sollevò: tè al mirtillo. Sapeva che non
sarebbe mai riuscito a prendere sonno. Non aveva mai preso un tè dopo le
quattro del pomeriggio. Guardò fuori dalla finestra con aria sbattuta, era una
notte limpida, c'erano le stelle e per una volta non pioveva in quella piccola
città. Prese una decisione, forse dovuta al panico dell'insonnia: si vestì,
prese il cappotto e uscì nel freddo di Febbraio. Non l'aveva mai fatto.
Passeggiò piano, senza una precisa meta. Arrivò al parco e si sedette sulla
prima panchina. Gli sembrò fosse passata un’eternità quando sentì una donna
piangere. Ci mise un po’ a farsi coraggio ma pian piano le si avvicinò.
- Salve, posso aiutarla?
va tutto bene?
- Non pensavo di trovare
qualcuno a quest'ora, mi scusi, non volevo disturbarla.
- Si figuri. Me ne stavo
qui a sedere per passare questa notte di insonnia.
La donna piangeva con il
volto tra le mani, sembrava stanca.
- Perché piange? Se
posso chiedere.
- Ennesimo licenziamento
e situazioni familiari complicate. tutto qui.
- Mi dispiace. Vedrà che
riuscirà a trovare presto un nuovo lavoro.
-Lei ha famiglia
signore?
- No. Sono stato
innamorato ma era tanto tempo fa. lei se n'è andata.
- Mi dispiace. Cosa è
successo?
- Non so, forse la mia
testa è un po’ troppo incasinata.
La donna pian piano
smise di piangere e lo guardò, fu un istante, aveva occhi marroni ed enormi.
Erano occhi di chi ne aveva passate tante, occhi che avevano molto da
raccontare, occhi poetici e malinconici. Parlarono a lungo, lui gli raccontò
delle sue abitudini e delle sue paure nascoste dietro a quella ricerca
spasmodica dell'equilibrio. Lei le raccontò di quel marito che la picchiava, di
quel figlio che non aveva voluto ma che ora amava con tutta se stessa, della
sua laurea in medicina e delle difficoltà per avere un posto fisso. Le ore
passarono in fretta e le luci dell'alba ricordarono ai due gli impegni e le
responsabilità che li aspettavano. Smisero per un momento di parlare e
guardarono quel gioco di luci come se fosse un quadro, così tanta bellezza,
così profonda, eppure reale. Quando il sole si levò lei lo abbracciò. Lui
rimase quasi impietrito da quel gesto improvviso di cui non capiva il
significato.
- La ringrazio per
questa chiaccherata, mi ha davvero tirato su il morale -. Disse la donna.
- Non mi ringrazi, deve
andare?
- Purtroppo si, tra poco
devo prendere mio figlio.
Lui prese un bigliettino
che aveva nella tasca.
- Ha una penna per caso?
Lei gli passò una penna
stilo che aveva nella borsa, lo fece con delicatezza, cercando di capire. Lui
scrisse qualcosa e gli porse il biglietto.
- Qui c'è il mio
cellulare e l'indirizzo dove abito. Se ha voglia un giorno potrebbe capitare
con suo figlio a farmi un saluto, mi farebbe molto piacere.
- Ci penserò sicuramente.
A presto allora.
La donna si alzò e prese
a camminare con passo svelto, deciso, femminile. Poi si voltò verso di lui, lo
guardò per qualche secondo e riprese a camminare.
Lui aspettò ancora
qualche momento poi si alzò e si diresse verso casa. Prese un caffè e si
preparò per andare al lavoro, come faceva tutte le mattine.
Qualche giorno dopo la
donna suonò il citofono di casa sua, era da sola. Lui la fece salire in quella
casa che non aveva ospitato mai nessuno se non le sue paranoie. Lei con fermezza
lo baciò, chiuse la porta dietro di se e, senza voler vedere quella casa e
conoscere quella sua vita, si spogliò, come se fosse l'ultima cosa che facesse.
Fecero l'amore, forte, con passione, senza parlare. Quel pomeriggio non andò a
correre come faceva tutti i martedì.
9 mesi dopo successe che
prese il tè di nuovo, ormai qualche volta lo faceva. In quel momento però aveva
un significato particolare. Ricordò quella notte e ritornò a quell'abbraccio.
Decise di chiamarla Alba.
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