venerdì 18 luglio 2014

Una tazza di tè: a volte un solo gesto può cambiarti la vita

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Bastò un tè, e cambiò tutto.
Gli altri lo consideravano un tipo abitudinario. Lui si definiva più un amante dell'equilibrio. Aveva una spiccata passione per la comprensione del proprio corpo e dei suoi meccanismi. Attento ad ogni minimo dettaglio per capire l'insorgere di qualche malattia; meticoloso nel programmare la giornata per avere un giusto equilibrio tra stress e riposo, tra sentimenti e astenia, tra sport e attività sedentarie. Certo questo portava ad una abitudinarietà di notevole rilievo: corsa tre volte a settimana per combattere lo stress, caffè solo la mattina e dopo pranzo, mai più tardi per evitare l'insonnia, e così via; ma se qualcuno gli avesse chiesto se si fosse definito un tipo abitudinario, lui avrebbe risposto che in realtà amava l'avventura, i viaggi e anche divertirsi; semplicemente nella sua vita ordinaria cercava un equilibrio che gli consentisse di sfruttare al meglio le sue potenzialità, di vivere serenamente ogni situazione. Ecco appunto, cercava. Una volta un amico gli aveva detto che forse stava esagerando e che a spassarsela un po’ avrebbe notato come la vita potesse essere molto più divertente. Lui non gli credeva. Pensava di essere felice così, di vivere al massimo.
Quella sera però gli successe di bere un tè. Ecco ovviamente non che l'avesse fatto apposta. Semplicemente, nel buio della cucina, non si accorse che nella scatola della camomilla vi era finita per sbaglio una bustina di tè al mirtillo.
Andò a letto come ogni notte alle una,dopo aver letto 15 pagine di un libro. Erano le 3 quando si alzò barcollando. Andò davanti allo specchio del bagno e cercò di capire quale fosse la ragione per cui non riusciva a prendere sonno. Esaminò ogni malattia possibile di quelle che conosceva, si aiutò con internet come faceva spesso ma niente, il mistero di quel momento di insonnia non sembrò avere soluzione. Arreso e stanco di quei pensieri, pensò a cosa fare. Ci voleva un'altra camomilla forse. Preparò la tazza e scartò il filtro. Quando poi aprì il secchio per gettare la carta, gli si presentò davanti la soluzione del mistero; una bustina rossa emergeva dal fondo del cestino, non gialla come quelle solite della camomilla, la sollevò: tè al mirtillo. Sapeva che non sarebbe mai riuscito a prendere sonno. Non aveva mai preso un tè dopo le quattro del pomeriggio. Guardò fuori dalla finestra con aria sbattuta, era una notte limpida, c'erano le stelle e per una volta non pioveva in quella piccola città. Prese una decisione, forse dovuta al panico dell'insonnia: si vestì, prese il cappotto e uscì nel freddo di Febbraio. Non l'aveva mai fatto. Passeggiò piano, senza una precisa meta. Arrivò al parco e si sedette sulla prima panchina. Gli sembrò fosse passata un’eternità quando sentì una donna piangere. Ci mise un po’ a farsi coraggio ma pian piano le si avvicinò.
- Salve, posso aiutarla? va tutto bene?
- Non pensavo di trovare qualcuno a quest'ora, mi scusi, non volevo disturbarla.
- Si figuri. Me ne stavo qui a sedere per passare questa notte di insonnia.
La donna piangeva con il volto tra le mani, sembrava stanca.
- Perché piange? Se posso chiedere.
- Ennesimo licenziamento e situazioni familiari complicate. tutto qui.
- Mi dispiace. Vedrà che riuscirà a trovare presto un nuovo lavoro.
-Lei ha famiglia signore?
- No. Sono stato innamorato ma era tanto tempo fa. lei se n'è andata.
- Mi dispiace. Cosa è successo?
- Non so, forse la mia testa è un po’ troppo incasinata.
La donna pian piano smise di piangere e lo guardò, fu un istante, aveva occhi marroni ed enormi. Erano occhi di chi ne aveva passate tante, occhi che avevano molto da raccontare, occhi poetici e malinconici. Parlarono a lungo, lui gli raccontò delle sue abitudini e delle sue paure nascoste dietro a quella ricerca spasmodica dell'equilibrio. Lei le raccontò di quel marito che la picchiava, di quel figlio che non aveva voluto ma che ora amava con tutta se stessa, della sua laurea in medicina e delle difficoltà per avere un posto fisso. Le ore passarono in fretta e le luci dell'alba ricordarono ai due gli impegni e le responsabilità che li aspettavano. Smisero per un momento di parlare e guardarono quel gioco di luci come se fosse un quadro, così tanta bellezza, così profonda, eppure reale. Quando il sole si levò lei lo abbracciò. Lui rimase quasi impietrito da quel gesto improvviso di cui non capiva il significato.
- La ringrazio per questa chiaccherata, mi ha davvero tirato su il morale -. Disse la donna.
- Non mi ringrazi, deve andare?
- Purtroppo si, tra poco devo prendere mio figlio.
Lui prese un bigliettino che aveva nella tasca.
- Ha una penna per caso?
Lei gli passò una penna stilo che aveva nella borsa, lo fece con delicatezza, cercando di capire. Lui scrisse qualcosa e gli porse il biglietto.
- Qui c'è il mio cellulare e l'indirizzo dove abito. Se ha voglia un giorno potrebbe capitare con suo figlio a farmi un saluto, mi farebbe molto piacere.
- Ci penserò sicuramente. A presto allora.
La donna si alzò e prese a camminare con passo svelto, deciso, femminile. Poi si voltò verso di lui, lo guardò per qualche secondo e riprese a camminare.
Lui aspettò ancora qualche momento poi si alzò e si diresse verso casa. Prese un caffè e si preparò per andare al lavoro, come faceva tutte le mattine.
Qualche giorno dopo la donna suonò il citofono di casa sua, era da sola. Lui la fece salire in quella casa che non aveva ospitato mai nessuno se non le sue paranoie. Lei con fermezza lo baciò, chiuse la porta dietro di se e, senza voler vedere quella casa e conoscere quella sua vita, si spogliò, come se fosse l'ultima cosa che facesse. Fecero l'amore, forte, con passione, senza parlare. Quel pomeriggio non andò a correre come faceva tutti i martedì.

9 mesi dopo successe che prese il tè di nuovo, ormai qualche volta lo faceva. In quel momento però aveva un significato particolare. Ricordò quella notte e ritornò a quell'abbraccio. Decise di chiamarla Alba.

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