martedì 10 giugno 2014

Sono un italiano e lavoro fischiettando

Quella simpatia la usava per mascherare i graffi che la vita aveva segnato sulla sua pelle. I rimpianti e le occasioni mancate cercava di nasconderle dietro battute ironiche e nel fischiettare che seguiva il suo passeggio. Aveva dormito pochissimo quei giorni. Ai suoi compagni di lavoro andava dicendo che per lavorare in quel modo, con quella paga, all'età che aveva lui, si poteva solo evitare di pensare, cercando di sorridere e accettando la giornata con spirito di angusta avventura. Una sigaretta dietro l'altra la sua voce si affievoliva con il passare dei giorni e dei pacchetti gettati nell'immondizia. Diceva ai compagni che la voce bassa e rauca lo rendeva più macio. Ci provava con quelle ragazze che lavoravano con lui, si divertiva a fare complimenti a loro direttamente o a qualche parte del loro corpo. Non voleva sembrare in disperato bisogno di ragazze, ma lui era cosí, gli piaceva fare il marpione, gli dava una certa sicurezza. Certo all'età che aveva forse sarebbe stato il caso di smetterla di fare sempre il bambinone, era una cosa che pensava spesso. Ma lui non voleva cambiare, forse perché pensava che ormai era troppo tardi, forse perché alla fine non é che gli dispiacesse essere così, oppure semplicemente perché tanto sapeva di poter dare la colpa agli altri. Si, erano le persone che aveva incontrato nella sua strada che lo avevano reso così. Troppo facile usare questa scusa, lo sapeva, però alla fine era facile da dire e le persone li per li ci credevano anche. Quel lavoro di aiuto cuoco lo aveva trovato grazie ad un suo parente, il marito di sua sorella. Il solito biker rozzo e dalle maniere brusche; un uomo generoso, che nel bisogno lo aveva sempre aiutato.