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Rodolfo Serracchiani si
svegliò. Erano le 7, come tutte le mattine. Si stropicciò gli occhi e restò per
qualche minuto immobile ad osservare la fioca luce che compariva dalla
serranda. Lambert, un pastore tedesco, abbagliava dal giardino ansioso di
ricevere la sua colazione, come tutte le mattine. Si alzò dal letto con la
lentezza di chi non si aspetta nulla di nuovo dalla giornata. Infilò i freddi
piedi nel soffice cuoio delle sue ciabatte. Con passi calibrati e meticolosa
precisione si diresse al pentolino del latte. D'un tratto, sentì il rumore
acuto di quel motorino che non portava mai nulla di nuovo se non notizie
scialbe dal mondo e qualche bolletta arretrata da pagare. Consumò la sua
colazione tra il silenzio della camera e il vuoto dei suoi pensieri. Prese le
scatola dei biscotti per cani e aprì lentamente la porta che da anni separava i
suoi silenzi dal mare di parole della gente. Lambert lo salutò con affetto
leccandogli la mano, lui, per tutta risposta, gli lanciò i biscotti nella
ciotola. Prese la posta e rientrò frettolosamente in casa. Mentre raggiungeva
il divano, i suoi occhi colsero qualcosa di strano: Una lettera. Veniva da
Berlino. La aprì con una smorfia di paura e curiosità. Poche righe, scritte con
una calligrafia colma di ricordi e duri rimpianti:
« Ciao
Papà, Come credo tu sappia, tra pochi giorni tuo nipote compirà 3 anni. Per il
suo compleanno ha espresso un unico desiderio: conoscere suo nonno. Voglio che
tu sappia che questo non ha niente a che fare con il nostro rapporto e per
quanto mi riguarda spero di non doverti vedere, ma l'amore che provo per mio
figlio è troppo grande e credo lui abbia il diritto di conoscere suo nonno se è
questo quello che desidera. Nella busta troverai un biglietto d'aereo.
Sonia.»
Fissò la lettera per
qualche istante, poi la chiuse e la appoggiò sul tavolo. Rodolfo non aveva mai
viaggiato. Odiava i viaggi e la gente che ansimando li raccontava. Si alzò e si
vestì con tutta la calma che la sua meritata pensione gli concedeva.
Arrivò al bar per le 11.
Lo videro entrare preceduto dal suo solito bastone marrone. Ellen, la barista
chiappe d'oro, così come la chiamavano da quelle parti, lo salutò, ma lui non
rispose.
« Dai Rodo.. possibile
che non ti degni mai di salutare quello schianto?»
« A me piaceva più
quella di prima, aveva un'aria più familiare»
« Si va beh, è che tu
amico mio sei vecchio dentro, ogni volta che cambia qualcosa ti arrabbi, ecco
quale è la verità.»
« Probabilmente hai
ragione Alfre. Oggi chi vuole provare a sfidarmi?»
Rodolfo Serracchiani
aveva paura di due cose : degli aerei, e di perdere la sua imbattibilità a
scopa. Quegli strani mezzi tecnologici con le ali non gli erano mai piaciuti,
da quando li aveva visti per la prima volta sui giornali aveva sempre diffidato
dalla possibilità di usarli.
« Alfrè, dico quando sei
lassù se succede qualcosa è finita, non c'è Santo che tenga.» Così aveva
risposto quando Alfredo gli aveva annunciato che sarebbe partito per Londra per
farsi un viaggetto con sua moglie. Per quanto riguarda la seconda delle sue
paure, beh lì la questione si basava più su remoti sogni di celebrità e sulla
tenacia con cui il sig. Serracchiani era solito perseguire l'obbiettivo di
voler essere ricordato per qualcosa.
« caro il mio Rodolfo
questa volta hai perso»
Riccardo gentile,
giardiniere in pensione, lo guardava con aria beffarda. Teneva in mano le carte
e il sudore della sua stretta rinfacciava al mondo la difficoltà dell'opera
appena compiuta. Rodolfo lo guardò, e davanti ad una delle sue pochissime
certezze che si andava sgretolando, riuscì a dire soltanto una frase : «
Complimenti Riccà, bella partita»
Prese il suo cappotto e
si avvicinò al bancone di Ellen, la fissò per qualche istante, cercando nei
suoi occhi azzurri tracce di compassione per l'accaduto. Le fece un cenno di
saluto e lasciò il bar e quei suoi 4 amici di sempre senza voltarsi, con il
passo di chi vuole dimenticare il più in fretta possibile.
Passeggiò senza meta
fino a sera. La fame non sfiorò minimamente il suo stomaco e l’unica cosa che
pensò bene di mandar giù, fù una birra gelata che scacciasse i pensieri.
Rientrò in casa senza
degnare di un saluto il povero Lambert che guardandolo entrare, cominciò a
piagnucolare accostandosi lentamente al portone.
Rodolfo si sedette al
buio, sprofondò nel divano cercando di realizzare la gravità
dell'accaduto. Si ricordò della lettera
e la prese tra le mani. La strinse a se, la aprì di scatto e cominciò a
leggerla di nuovo, ma stavolta con le proprie dita, con i propri sentimenti,
sfiorando al buio quelle parole. I ricordi invasero i suoi pensieri e gli occhi
di sua figlia gli ricordarono quello che era stata la sua vita. Nel dolce
pensiero di ciò che non poteva più tornare si addormentò. La lettera cadde
lentamente dalle sue mani, inghiottita dal buio della stanza e dei suoi sogni.
Rodolfo Serracchiani si
svegliò. Erano le 7, come tutte le mattine. Si stropicciò gli occhi e restò per
qualche minuto immobile ad osservare la fioca luce che compariva dalla finestra
della sala. Lambert, il pastore tedesco, abbagliava dal giardino ansioso di
ricevere la sua colazione, come tutte le mattine. Si alzò dal divano con la
lentezza di chi non si aspetta nulla di nuovo dalla giornata. Infilò i freddi
piedi nel soffice cuoio delle sue ciabatte. Con passi calibrati e meticolosa
precisione si diresse al pentolino del latte. Rimase immobile per qualche
istante davanti a quell'oggetto che sua moglie aveva comprato all'incirca 30
anni prima. Si voltò velocemente e corse in camera. Prese dall'armadio due
valigie ormai piene di polvere. Raccolse quei pochi vestiti che aveva e li
infilò dentro senza un preciso ordine. Chiuse le valigie e si diresse verso la
porta. Guardò l'appendiabiti all'entrata e prese il cappello verde, quello che
lo accompagnava nelle lunghe passeggiate che si concedeva le domeniche quando
non c'erano partite a scopa. Uscito dalla porta si chinò verso Lambert e sussurrò
alle sue orecchie che sarebbe tornato presto. Gli lasciò nella ciotola cibo e
acqua, poi uscì dal cancello e non si voltò nemmeno quando il pastore tedesco
cominciò ad abbaiare con tutta la forza che i suoi 15 anni gli avevano lasciato
in corpo.
Il lunedì al bar
rimasero tutti sorpresi di non vedere arrivare Rodolfo. Qualcuno disse che era
morto. Qualcuno azzardò l'idea che avesse voluto cambiare vita. Ellen, dal
canto suo, disse che probabilmente si vergognava solo a tornare al bar per via
del fatto che aveva perso a scopa.
Il mondo da lassù
sembrava così piccolo, così ricco di colori da sembrare un quadro. Pensò che
non era poi così terribile viaggiare in quel concentrato di tecnologia.
Quando tornò al bar 2
settimane dopo, Rodolfo Serracchiani disse soltanto due cose: di non volere più
giocare a scopa e di ritenere l'aereo una bella invenzione.
Si avvicinò con passo
deciso al bancone di Ellen e prese dalla tasca della giacca una foto.
« Siamo io e mio nipote
sulla spiaggia. Mi assomiglia vero? Diventerà sicuramente un campione di quel
gioco di carte a cui giocano quelli ricchi e intelligenti.»
« il Bridge?»
« Si esatto. E lo sai
Ellen? Hai proprio un bel sedere!»
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